Quando a Nova Siri nasceva Tommaso Latronico era l’anno 1948. In quegli anni la nazione era impegnata in una difficile opera di ricostruzione materiale e di pacificazione, dopo la sconvolgente esperienza della dittatura e della guerra. Nella Basilicata di allora questo processo però non poteva consistere semplicemente in una ricostruzione, non essendo riproponibile un modello di società come quello preesistente.
Fino agli anni dell’infanzia di Tommaso, agli inizi degli anni Cinquanta, infatti, questa regione è stata una terra dove ancora regnava il latifondo, una realtà tramandata dal lontano medioevo e con un’economia di tipo feudale. La terra era proprietà di alcuni grandi latifondisti che ne affidavano la conduzione ad amministratori i quali a loro volta la concedevano a coltivatori che, in realtà, disponevano di ben pochi mezzi per ottenere livelli di produttività in grado di assicurare dignitose condizioni di vita. Il problema della Basilicata di quegli anni, cioè, avrebbe dovuto essere anche quello dell’affrancamento da quel sistema feudale. Questo significava dover fare un “salto” di lunghi secoli per mettersi al passo con la storia.
Anche la Chiesa, fino agli anni Cinquanta era inserita in quella realtà storica – non poteva essere diversamente – e vaste erano anche le sue proprietà terriere. Si può immaginare quanto fosse rilevante, in quel contesto, il ruolo del clero locale.
Alla fine del 1950 viene approvata la legge di riforma agraria, in realtà una legge stralcio di ciò che doveva essere un quadro normativo ben più articolato per il rilancio del settore primario. Nonostante la sua incompletezza, grazie a questo strumento legislativo si provvide a una redistribuzione della proprietà terriera e alla bonifica delle aree territoriali. Il metapontino, dove sorge Nova Siri, sarà l’area che vedrà i più incisivi interventi di trasformazione: oltre un terzo delle proprietà espropriate nell’intero territorio regionale interessava la costa jonica tra Metaponto e Nova Siri.
C’era stato in passato anche il tentativo dei latifondisti più illuminati di introdurre delle innovazioni nella produzione agricola senza che nemmeno allora si riuscisse a migliorare le condizioni di vita della popolazione.
Nel corso dei secoli, la Chiesa, pur muovendosi in questo preciso contesto storico e pur con tutti i limiti che quel sistema economico presentava, aveva saputo offrire agli uomini del tempo, diversamente dai latifondisti, anche le opportunità per riscattarsi da quelle condizioni di miseria. Lo aveva fatto soprattutto attraverso un’opera educativa, grazie a una capillare rete di istituti di istruzione e di formazione professionale; quando ciò mancava, come nei più remoti centri abitati, ricorrendo al personale impegno educativo dei sacerdoti. Si può dire che, in quei tempi, la Chiesa era l’unico soggetto educativo capace di fornire strumenti adeguati ad accedere a migliori condizioni di vita.
Quando, nel rispondere alla sua vocazione, Tommaso entrava in seminario avrà sicuramente voluto seguire quel modello di sacerdote educatore.
La trasformazione sociale che interessò la Basilicata negli anni del dopoguerra non riguardò soltanto il sistema economico e il superamento del latifondo. Un cambiamento non meno rilevante fu l’opera di bonifica di vaste aree del territorio regionale, una delle quali fu indubbiamente il metapontino. Furono anche questi problemi di igiene pubblica a essere determinanti nel crollo di quel mondo rurale. Il metapontino era una zona paludosa, dove per il ristagno delle acque la malaria era purtroppo una malattia endemica.
Negli anni della sua formazione, don Tommaso Latronico ebbe sempre viva la necessità di un rinnovamento, di una novità di vita, anche sociale; come fu consapevole della responsabilità dei cristiani nel promuovere migliori condizioni di vita. Questo era, del resto, il clima che si registrava nell’intera realtà della Chiesa lucana; un clima aperto al cambiamento, come era determinato dalla guida di pastori come Augusto Bertazzoni a Potenza, Vincenzo Cavalla a Matera, Raffaello Delle Nocche a Tricarico.
Questo processo di transizione aveva investito in quegli anni la Chiesa anche dall’interno, soprattutto per effetto del Concilio. L’itinerario di formazione di don Tommaso, prima nel seminario di Potenza e poi in quello di Salerno, si concluderà a Roma. Se questa città è sempre stata il centro della Chiesa, quando alla fine degli anni Sessanta vi giungeva Tommaso, era anche un luogo segnato drammaticamente da questo processo di trasformazione.
Quale posizione assunse il giovane Tommaso di fronte a questo rinnovamento che indubbiamente per la presenza cristiana rappresentava una provocazione di dimensioni epocali? La sua posizione fu quella di accettare di confrontarsi con questa provocazione, di mettersi in gioco. Perché se le verità cristiane sono immutabili, mutevole e sempre nuova deve essere la forma dell’esperienza storica del cristiano. Riprendendo quanto diceva il cardinale Ratzinger, don Tommaso scriverà più tardi: «la Chiesa può tornare ad essere un avvenimento se alcuni “obbediscono di cuore alla forma di insegnamento alla quale sono stati consegnati” (J. Ratzinger)».
In quegli anni Tommaso Latronico farà un incontro che segnerà la sua vita, l’incontro col carisma di don Luigi Giussani, oggi Servo di Dio. E fu in quell’incontro che egli comprese che la forma alla quale la Chiesa lo consegnava era il movimento guidato da don Giussani, Gioventù Studentesca prima e Comunione e Liberazione poi, soprattutto attraverso l’amicizia con don Giacomo Tantardini. Tommaso comprese anche che quanto riceveva da quell’incontro era sufficiente per affrontare la sua epoca con la proposta di una novità di vita.
Ma la fragilità dei rapporti di amicizia avrebbe potuto sostenere l’urto con la provocazione di quel cambiamento epocale così drammatico? Questo processo di trasformazione, infatti, non era indolore; non raramente generava tensioni e attriti, particolarmente in determinati ambienti giovanili, come erano le scuole e le università.
Erano gli anni della contestazione studentesca e poi della radicalizzazione della contestazione. Erano gli anni della lotta armata, anni di piombo. Non raramente si poteva vedere come tali tensioni degenerassero in episodi di violenza. Talvolta proprio ai danni delle comunità di Comunione e Liberazione come era quella romana alla quale allora faceva riferimento don Tommaso. Si poteva però osservare anche come reggesse bene quella fragile e giovanile amicizia di fronte a tanta ostilità.
Ordinato sacerdote il 28 giugno 1973, nel 1975 don Tommaso torna in Basilicata. È docente di religione a Matera, presso il liceo classico. Anche in questa città la situazione è incandescente e molto agguerriti sono i movimenti della contestazione studentesca, un clima che investe la Chiesa anche dall’interno e che portò a una clamorosa rottura nel clero locale.
La risposta di don Tommaso di fronte a tutto ciò non fu una contrapposizione; fu la semplice proposta di un’amicizia come poteva essere vissuta all’interno della comunità cristiana, come quella di Comunione e Liberazione. Lo ricordava bene Rocco Zagaria, in quegli anni preside del liceo scientifico. La proposta cristiana di don Tommaso era quella che aveva assunto in lui la “forma” di Comunione e Liberazione. Sul giornale diocesano Logos, Zagaria scriveva che «don Tommaso ha svolto una funzione essenzialissima nella diffusione del suaccennato movimento ecclesiale, nella nostra diocesi e ben oltre». Colpiva la sua autorevolezza, ricordava ancora il preside, come il suo carisma, la sua dolcezza dei modi e un fascino che scaturiva dalla sua fede cristiana; il preside ricordava come gli studenti della comunità di CL «riuscivano a contrastare vittoriosamente quelli della federazione giovanile comunista, allora egemone». «Io stesso e mia sorella» conclude Zagaria, «gli affidammo i nostri figli quindicenni che con don Tommaso andarono anche al convegno di Pesaro di CL».
È interessante a questo proposito notare che se affettuoso è il ricordo del preside Zagaria, non meno commosso è il ricordo di don Tommaso da parte di quelli che un tempo erano i giovani della sinistra, egemone nel mondo giovanile degli anni Settanta; quei giovani che, secondo Zagaria, i giovani di CL “riuscivano a contrastare vittoriosamente”.
Il giornalista Franco Martina ha raccolto per la testata online Giornalemio.it la ricostruzione che di quegli anni fa Gianni Fabbris, all’epoca leader di Lotta continua ed esponente del dissenso cattolico, oggi punto di riferimento delle associazioni degli agricoltori e degli allevatori meridionali.
Fabbris non condivide l’idea di una preconcetta contrapposizione che si sarebbe creata tra i cattolici di Comunione e Liberazione e i giovani della sinistra materana. No, dice a Franco Martina, «non ci fu uno scontro ma un confronto». Ricorda Gianni Fabbris su Giornalemio.it: «Era il lontano 1974. Frequentavo il Liceo scientifico Dante Alighieri e avevo fatto una esperienza particolare. Praticamente mi ero convertito. Ero diventato credente… fede che poi ho perso per strada. Avevo fatto delle esperienze di comunità, tra Matera e Bari, che mi avevano molto convinto di quella scelta. Dopo di che, da subito accadde una cosa strana. Con un buon gruppo di giovani entrammo in Comunione e Liberazione, pur non avendo capito bene – lo confesso – cosa fosse il movimento fondato da don Luigi Giussani».
Ricorda l’ex militante di Lotta continua: «c’era don Tommaso Latronico, davvero una bella figura di sacerdote, che arrivò a Matera dopo tre mesi buoni della nostra esperienza. Noi eravamo nella ”parrocchia” della cattedrale, dove avevamo fatto gruppo. Ma c’era un problema. Per noi era tutto normale. Eravamo ragazzini. Il punto è che suonavamo nella Messa e il canto di apertura di CL per la Messa era sulle note (e solo quelle) dell’Internazionale. Avevamo le idee un po’ confuse, per la verità…»
Arrivò, com’era inevitabile, il momento di un chiarimento con don Tommaso che guidava localmente il movimento di Comunione e Liberazione. Ricorda Fabbris: «A un certo punto, dopo una fase di impegno sociale e attività varie, facemmo una riunione con don Tommaso Latronico e fu veramente piacevole perché non ci fu uno scontro ma un confronto. Lui condivise molte delle nostre idee, e l’impegno verso gli ultimi era tra queste».
Ma dopo aver ascoltato le ragioni di quei ragazzi, don Tommaso disse: «Ragazzi se volete stare in Comunione Liberazione siete ben accetti, ma non potete cantare nè l’Internazionale e nè Bandiera Rossa».
«Fu una riunione illuminante» riconosce oggi Fabbris, «ne prendemmo atto, ci salutammo cordialmente e dissi a don Tommaso: “Siamo comunisti”. Nacque a Matera, così, l’esperienza e il gruppo dei Cristiani per il socialismo. Andammo alla Parrocchia di San Pio X, dove c’erano due sacerdoti straordinari come don Tommaso Rondinone e il viceparroco don Leo Cardinale, che più avanti lasciò la Chiesa».
In questa nota finale Fabbris fa riferimento a una grave frattura che si verificò allora nella Chiesa locale con l’abbandono, da parte di sei sacerdoti,, del presbiterio materano. Quelli furono forse gli anni più bui nella Chiesa di Matera. Ma come sempre accade in questi casi la risposta della fede autentica non è quella di una contrapposizione. Perché in questi casi, come si sa, Dio risponde sempre mandando dei santi. Don Tommaso Latronico fu uno di questi santi mandati da Dio a guarire le ferite e a riabbracciare i fratelli?
Non è questo un quesito cui si può rispondere qui. Certamente, però, si può dire che la risposta di don Tommaso alle provocazioni che venivano dalla sua epoca è sempre stata la fede cristiana. Il cambiamento d’epoca che ha investito il mondo e la Chiesa, è stato particolarmente profondo nel mondo di don Tommaso Latronico.
Il mondo feudale della sua terra, ancora soggetta alle leggi medievali del latifondo, non era più quello che aveva lasciato entrando in seminario; quel mondo non esisteva più. Perfino la Chiesa non sembrava più riconoscibile nella forma in cui l’aveva consegnata la tradizione. Il clero inoltre aveva perso quella rilevanza che aveva avuto nel corso di lunghi secoli.
Scriveva don Tommaso: «Nell’esperienza dell’uomo tutto passa e finisce. Soprattutto le cose belle (l’infanzia, l’amore…) sono destinate a finire nel rimpianto, nella nostalgia, e nel ricordo. C’è una sola esperienza che inizia e non finisce, e con il tempo cresce: è l’incontro con Cristo. È unico perché inizia in modo inimmaginabile, imprevisto e interessante, ti corrisponde e poi – se si rimane, se lo si guarda – è destinato con il tempo a crescere: non sei tu che cresci; che anzi invecchi, sei fragile e pieno di peccati, ma quell’avvenimento che cresce perché guardato attentamente, corrisponde, non censura, perdona».
Apprendendo della proposta di avviare la causa di canonizzazione di don Tommaso, Angelo Minieri ha voluto manifestare la sua commozione. Minieri è stato insegnante, è stato a lungo esponente del sindacato della CGIL, è stato consigliere regionale e presidente del Consiglio regionale della Basilicata, è stato sindaco di Matera. Da giovane era attivo militante delle formazioni politiche di sinistra e prima ancora aveva trascorso alcuni anni in seminario per verificare una vocazione sacerdotale.
Di don Tommaso, Angelo Minieri scrive: «Ho avuto modo di conoscerlo a Matera quando era con i suoi giovani di CL. Io all’epoca ero politicamente “dall’altra parte”; ma non mi sfuggiva la testimonianza cristiana del Movimento stesso, dove, ricordo, spiccava la testimonianza di don Tommaso. Qualche volta ci siamo fermati a parlare in via S. Biagio e mi colpì la pacatezza del dialogo pur testimoniando una posizione altra e diversa dalla mia. Poi il tempo ha riportato alla mente quel prete e l’esempio del suo impegno, oggi più che mai attuale ed esemplare. Che dire, alla fine ritrovo su questi esempi il mio essere cristiano e per un certo periodo impegnato nelle associazioni cattoliche, anche come seminarista».